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Giuseppe Paterniti - L'alchimia del Taiji

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Pagina pubblicata in data 27/02/2024
Aggiornata il 28/02/2024

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Ho incontrato per la prima volta il maestro Giuseppe Paterniti nella primavera del 2016.

In quel periodo studiavo il 太極拳 tàijí quán proposto dal Centro Ricerche Tai Chi di Venezia. Lo stile yáng che praticavo era, ovviamente, differente dallo stile chén che il maestro Paterniti proponeva nella sua scuola.

Arrivai a una sua lezione perché, come oggi, ero una sorta di "ramingo" alla ricerca di qualcosa. Un qualcosa che non sapevo ancora cosa fosse.

Ho iniziato a praticare il 太極拳 tàijí quán in un momento difficile della mia vita. Avevo compreso che questa disciplina era uno strumento dalle enormi potenzialità, ma non sapevo ancora come poterle sfruttare. Sentivo che il 太極拳 tàijí quán poteva essere uno strumento di trasformazione, di crescita. Ma come?

Spinto da questa ricerca, il 2016 fu per me un anno di "peregrinazioni e ricerca".

Il destino mi portò a incrociare la strada di Giuseppe Paterniti e come sempre, nella vita, per ogni cosa c’è un momento opportuno, ogni cosa ha il suo determinato tempo sotto il cielo.

Come me, anche il maestro Paterniti ha avuto il suo primo approccio al 太極拳 tàijí quán attraverso lo stile yáng. Il 太極拳 tàijí quán non fu però il suo primo incontro con le arti marziali.

Da bambino viveva a Giardini Naxos (Taormina). A 6 anni iniziò a praticare lo Judo. Successivamente la sua famiglia si trasferì a Messina. Qui il quindicenne Paterniti proseguì il suo studio con le arti marziali giapponesi con il Kyokushin Karate, uno stile di karate noto per la sua "durezza", per via del combattimento "full contact" senza protezioni.

Il suo maestro fu Shihan Tsutomu Wakiuchi, maestro giapponese originario di Tokyo che si era stabilito a Messina.

Dopo diversi anni Giuseppe decide di prendere una pausa di "riflessione" dal mondo delle arti marziali. Fra il 1991 e il 1996 si dedica totalmente alla musica facendo il musicista di professione.

Nel 1997, poi, rinascerà il lui la voglia di praticare le arti marziali. Qualcosa però nel frattempo era cambiato. In quegli anni di pausa, era "cresciuto". Si era interessato a un certo tipo di esperienze psicofisiche. Tutte esperienze collegate da una ricerca "spirituale", una ricerca interiore, che per lui era, ed è tutt’oggi, fondamentale.

Se si volesse sintetizzare in una parola la persona di Giuseppe Paterniti, questa parola sarebbe "ricerca". Egli è, infatti, un soggetto in "perenne" ricerca, una ricerca per divenire ogni giorno un individuo più consapevole e migliore.

Questa sua spinta a "ricercare", lo portò a interessarsi all’alchimia, disciplina che lo porterà a studiare la tradizione alchemica daoista e ad avvicinarsi al 太極拳 tàijí quán.

Durante l’intervista il maestro mi spiega che non è mai stato interessato alla meditazione fine a sé stessa. Era alla ricerca di qualcosa che unisse la meditazione al movimento del corpo. Ricercava una disciplina in cui il corpo potesse svolgere un ruolo centrale nella sua crescita interiore.

Quando comprese che il 太極拳 tàijí quán poteva offrirgli tutto questo, si mise in cerca, spostandosi sovente dalla Sicilia (in quegli anni, infatti, la sua terra non offriva molte opportunità di studio).

Iniziò a girovagare fra Roma, Milano e Bologna, in cerca di realtà capaci di soddisfare il suo desiderio di conoscenza. Proprio a Roma avrà l’opportunità di studiare, per una settimana, con il maestro 楊軍 yáng jūn, che fu allora ospite del maestro Claudio Mingarini.

Il maestro 楊軍 yáng jūn rappresenta oggi la sesta generazione della famiglia yáng ed è il nipote del maestro 楊振鐸 yáng zhènduó, figlio di 楊澄甫 yáng chéngfǔ e pronipote di 楊露禪 yáng lùchán.

La ricerca iniziata nel mondo del 太極拳 tàijí quán, dopo un primo approccio al 太極拳 tàijí quán della famiglia yáng, lo porta nel 2000, a studiare 內功 nèigōng con il maestro Flavio Daniele.

La sua sete di ricerca però non conosce limiti. Non si ferma, e si avvicina al 太極拳 tàijí quán della famiglia chén.

Incontra la scuola del maestro Gianfranco Pace. Scuola all’interno della quale cresce, arrivando a ricoprire un ruolo importante nella commissione tecnica della scuola. Lo studio condotto assieme al maestro Pace, lo porta a studiare a Padova anche con il maestro 施榮華 shī rónghuá (che fu anche il maestro del maestro Gianfranco Pace) per circa 3 anni.

Il suo essere in continua "ricerca", lo vede viaggiare in Italia, in Europa e in Cina.

Viaggi iniziati mentre frequentava l’ITKA. Viaggi che gli consentono di incontrare e studiare con i maestri 陳小旺 chén xiǎowàng, 朱天才 zhū tiāncái e il maestro 王西安 wáng xī’ān. Studia anche con il maestro 陳自強 chén zìqiáng, figlio di 陈小星 chén xiǎoxīng direttore tecnico del Gran Maestro 陳小旺 chén xiǎowàng.

Dopo diversi anni di impegno e di lavoro nel portare la proposta della scuola nel nord dell’Italia, nel 2015, il maestro Paterniti compie la scelta di uscire dall’ITKA. La sua scelta fu dettata, ancora una volta, dalla necessità di "ricercare" la propria strada.

Nonostante questi incontri, il maestro Paterniti mi confida, che dentro di sé aveva come un presentimento. Ogni qual volta si era recato in Cina non era mai riuscito a incontrare il maestro 陳正雷 chén zhèngléi. Nonostante non lo avesse mai incontrato, si sentiva ispirato dal modo di muoversi del Gran Maestro. Sentiva come fosse sempre stato suo l’approccio del Gran Maestro nei confronti della pratica del 太極拳 tàijí quán.

Nonostante alcuni dei maestri che aveva incontrato in Cina gli avessero fatto intendere che, se avesse voluto avrebbe potuto avere l’opportunità di diventare loro discepolo, Giuseppe sentiva che la sua strada era un’altra. Sentiva che, se nella sua vita marziale avesse dovuto esserci il discepolato, quello sarebbe stato solo con il maestro 陳正雷 chén zhèngléi.

L’occasione per incontrare il Gran Maestro 陳正雷 chén zhèngléi arriva proprio all’inizio del 2016.

Da quel momento nasce in Giuseppe un forte interesse per il Gran Maestro. Interesse che lo porta a costruire un profondo legame con 陳正雷 chén zhèngléi che, nel corso del tempo, si farà sempre più stretto. A tal punto che nel 2017 ne diventa discepolo.

Il discepolato arriva grazie all’intercessione del maestro 岳黎明 yuè límíng, il quale si fa "garante" per il maestro Paterniti. Un requisito fondamentale per chiedere di diventare discepoli.

Il 拜師 bàishī, la cerimonia di discepolato, si tenne in Cina, a 鄭州 zhèngzhōu. Successivamente, nel maggio di quest’anno (2023), a Manchester (in Regno Unito), gli viene riconosciuto il massimo livello che un discepolo può raggiungere. Da discepolo interno diventa "discepolo in camera", in lingua cinese 入室弟子 rùshì dìzǐ.

Questo titolo deriva dal fatto che il discepolo può accedere alle "camere", a quelle stanze della casa dove generalmente possono accedere solo i membri della famiglia. È il riconoscimento che a tutti gli effetti si è entrati a far parte della famiglia del maestro.

A partire dal 2015 la formazione del maestro è stata intensa. Inizialmente la sua preparazione gli ha permesso di vedersi riconosciuto l’ottavo livello, come insegnante, nella scuola del Gran Maestro. Nel 2019 raggiunge il nono livello e a maggio 2023, a Edimburgo (Scozia), sostiene l’ultimo esame e diviene insegnante di decimo livello (massimo grado conseguibile), coronando il sogno di una vita.

Non solo la sua formazione è stata intensa, ma si è anche impegnato a diffondere in Italia la 陳正雷太極拳聯盟 chén zhèngléi tàijí quán liánméng, la federazione che fa capo al Gran Maestro e che si pone come scopo principale quello di diffondere nel mondo il 太極拳 tàijí quán di 陳家溝 chénjiāgōu.

Altro importante obiettivo è quello di creare una rete di insegnanti qualificati, certificati, per favorire la corretta trasmissione del 太極拳 tàijí quán del Gran Maestro.

Paterniti ha, quindi, fondato la Chen Zhenglei Taijiquan Federation Italy, della quale è il Direttore Tecnico. Il branch italiano oggi conta ben dieci scuole affiliate sparse su tutto il territorio nazionale.

E l’alchimia? Che relazione c’è fra la ricerca che il maestro Paterniti porta avanti nel campo dell’alchimia e lo studio e la pratica del 太極拳 tàijí quán?
L’alchimia è un interesse che il maestro coltiva da sempre.

In questa sede non è possibile spiegare in modo esaustivo che cosa è l’alchimia.

In modo sintetico è possibile affermare che l’alchimia è quella scienza interiore che permette, all’alchimista, di trasformare la propria coscienza offuscata (identificata) in pura consapevolezza decondizionata. In altri termini, grazie alla pratica alchemica, si è in grado di far emergere la propria vera identità, la propria vera natura, che coincide con il Sé universale ed impersonale.

Per il profano, l’alchimia è quella strana e misteriosa pratica che pretende di trasmutare il piombo in oro (passando per la fase intermedia dell’argento). Tale trasmutazione dei metalli, in verità, va vista come una metafora.

Una metafora per descrivere la concreta possibilità di trasformazione spirituale ed interiore dell’essere umano.

L’uomo, che è paragonabile al piombo, può intraprendere una sorta di raffinazione alchemica capace di trasmutarlo interiormente (cioè, di renderlo "oro").

Nella visione di un alchimista, l’essere umano nella sua condizione "ordinaria" (piombo) è qualcosa di pesante sul piano della coscienza e non possiede molto valore intrinseco.

Perché? Perché una persona che non ha iniziato un percorso di trasformazione è in uno stato in cui vive la propria vita facendo riferimento a modelli, a schemi, a condizionamenti, a preconcetti. Ogni sua decisione è definita da diverse influenze esterne acquisite durante la sua intera esistenza.

I condizionamenti fanno sì che la persona percepisca sé stessa e il mondo come due entità "separate". Questo perché l’educazione che ha ricevuto, la cultura in cui vive e le diverse identificazioni, portano a vivere la realtà in maniera frammentaria e divisiva.

Inoltre, in tale condizione, la vita del singolo non può che svolgersi in modo meccanico, automatico, come se fosse un burattino.

L’alchimista, in ultima analisi, è mosso dalla voglia di scoprire chi è veramente.

Egli, a tale scopo, utilizza i cosiddetti "solventi" (presenza, attenzione, ascolto) per sciogliere i tanti condizionamenti che lo attanagliano.

Quando l’alchimista riesce a far emergere la propria vera identità, ecco che egli si riscopre come "essere universale", riuscendo a percepire la realtà nella sua interezza. Tale massima realizzazione, porta l’alchimista a vedersi non più come entità individuale, ma come tutt’uno con la totalità. Ed è a questo punto che la "persona" scompare, per lasciare posto soltanto al bagliore della verità.

Per affrontare le rigidità esterne del corpo è necessario lavorare non solo sulla struttura fisica ma anche, e soprattutto, sulla disidentificazione dal proprio io.

La ricerca nel campo dell’alchimia ha permesso al maestro Paterniti di acquisire tutta una serie di conoscenze che lo hanno portato a studiare e praticare il 太極拳 tàijí quán con grande consapevolezza e profondità.

Per spiegare tutto questo attraverso una citazione cinematografica, l’essere umano che deve iniziare il suo percorso di elevazione è come il protagonista del film Matrix, che vive in una realtà virtuale per "risvegliarsi" nella realtà "reale".

Gli stili interni delle arti marziali cinesi hanno raccolto questa visione del percorso di sviluppo interiore, raccogliendo l’esperienza di tradizioni come quelle del daoismo.

Questa visione del mondo il maestro Paterniti la ritrova in particolare nel nome 太極拳 tàijí quán e nella pratica di questa disciplina.

太極拳 tàijí quán, infatti, una parola che non è facilmente traducibile in lingua italiana. Alcuni sinologi la traducono come "suprema ultimità", altri come "realtà ultima", "ultima verità", principio supremo.

太極 tàijí è in qualche modo simile al concetto dell’Assoluto nella filosofia occidentale.

Questa conoscenza per Giuseppe si è tradotta in una chiave di lettura che oggi gli fornisce quello che definisce "il giusto orientamento" nella pratica del 太極拳 tàijí quán.

Orientamento che gli permette, praticando, di raggiungere proprio l’obiettivo che si pone ogni alchimista: trasformare il piombo in oro. Elevare la sua consapevolezza per diventare un tutt’uno con l’assoluto.

Pratica la tua conoscenza.
實履真知
shíjiàn zhēnzhī

Francesco Russo

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BREVE PROFILO DELL'AUTORE
Francesco Russo, consulente di marketing, è specializzato in consulenze in materia di "economia della distrazione".

Nato e cresciuto a Venezia oggi vive in Riviera del Brenta. Ha praticato per molti anni kick boxing raggiungendo il grado di "cintura blu". Dopo delle brevi esperienze nel mondo del karate e del gong fu, ha iniziato a praticare Taiji Quan (太極拳tàijí quán).

Dopo alcuni anni di studio dello stile Yang (楊式yáng shì) ha scelto di studiare lo stile Chen (陳式chén shì).

Oggi studia, pratica ed insegna il Taiji Quan stile Chen (陳式太極拳Chén shì tàijí quán), il Qi Gong (氣功Qì gōng) e il DaoYin (導引dǎoyǐn) nella propria scuola di arti marziali tradizionali cinesi Drago Azzurro.

Per comprendere meglio l'arte marziale del Taiji Quan (太極拳tàijí quán) si è dedicato allo studio della lingua cinese (mandarino tradizionale) e dell'arte della calligrafia.

Nel 2021 decide di dare vita ad una rivista dedicata al Taiji Quan (太極拳tàijí quán), al Qi Gong (氣功Qì gōng) e alle arti marziali cinesi in generale, che fosse totalmente indipendente da qualsiasi scuola di arti marziali, con lo scopo di dare vita ad uno strumento di divulgazione della cultura delle arti marziali cinesi.

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一口氣。一套太極拳。一個世界。
Yī kǒuqì. Yī tào tàijí quán. Yīgè shìjiè.

—— 龍小五

Un solo respiro. Una sola sequenza di Taiji. Un solo mondo.
—— 龍小五

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