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La mente non mente

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Pagina pubblicata in data 21 febbraio 2023
Aggiornata in data 22 febbraio 2023

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Nel corso degli ultimi anni le neuroscienze hanno elaborato un modello del nostro cervello che parte dal presupposto che nel corso della sua evoluzione si è dotato di due "menti distinte", che collaborano costantemente tra loro.

Tutti noi abbiamo sentito dire almeno una volta che l’emisfero sinistro e l’emisfero destro del cervello svolgono compiti differenti. La realtà non è proprio così. Le neuroscienze stanno mettendo in luce come differenti parti del cervello (di entrambi gli emisferi) collaborano fra loro per permettere lo svolgimento di un compito.

Le medesime ricerche hanno fatto emergere, invece, che la nostra mente non è "singola" ma è "duale". In poche parole, è come se in un computer fossero presenti due sistemi operativi che operano assieme.

Queste due menti sono state chiamate in modo differente nel corso degli anni. Fra le definizioni più famose c’è quella di Daniel Goleman, che nel suo libro Focus le ha definite con i termini "Bottom-Up" e "Top-Down", e quella di Daniel Kahnemann, che nel suo libro Pensieri lenti e veloci le ha chiamate "Fast Thinking" e "Slow Thinking".

Per una questione di comprensione e di efficacia comunicativa, io preferisco utilizzare i termini "mente arcaica" e "mente consapevole". La prima, la "mente arcaica", corrisponde ai termini "mente istintiva", "Bottom-Up" e "Fast Thinking". Mentre il termine "mente consapevole" corrisponde ai termini "mente razionale", "Top-Down" e "Slow Thinking".

La "mente arcaica" è quella che si è sviluppata per prima, ed è tra le due quella più veloce. Opera al di là dell’orizzonte della coscienza, e di fatto determina la gran parte delle nostre scelte quotidiane. Governa l’attenzione a livello riflesso e le abitudini meccaniche.

La "mente consapevole" invece governa l’attenzione volontaria, la forza di volontà e la scelta intenzionale.

Se ci riferiamo ad un linguaggio più comune, la "mente arcaica" è quella che normalmente definiamo la parte "irrazionale" del nostro cervello (anche se in realtà non ha nulla di irrazionale), mentre la "mente consapevole" appartiene alla sfera razionale del nostro cervello.

Il cervello umano è limitato nella sua capacità di elaborare tutti gli stimoli a cui è sottoposto. Utilizza il processo cognitivo dell’attenzione per concentrare le risorse neurali secondo le contingenze del momento ed usarle quindi al meglio. Per riuscire in questo la nostra capacità dell’attenzione è governata sia dalla "mente arcaica" sia dalla "mente consapevole". Fra poche righe si potrà comprendere quanto la nostra capacità di concentrarci sia fondamentale per sfruttare al meglio le capacità offerte da queste due menti.

Nel corso degli ultimi anni le conoscenze sulle due menti si sono accresciute, grazie al costante contributo delle neuroscienze. Sappiamo che non è possibile in modo "consapevole" utilizzare direttamente le molte capacità della "mente arcaica". Possiamo accedere a queste capacità attraverso la "mente consapevole".

Quanto ho appena illustrato può apparire complicato e non di immediata comprensione. Ma sarà sufficiente un semplice esempio per capire tutto questo.

Il praticante di arti marziali è consapevole che per schivare un pugno è necessario agire di "istinto". È consapevole che se cerca di evitare un pugno guardandolo, pensando a ciò che deve fare per schivarlo, è molto probabile che il pugno andrà a segno. L’artista marziale sa che se pensa troppo durante una gara è destinato a perderla. Perché? Qualsiasi schema motorio, per considerarlo acquisito deve essere gestito dalla "mente arcaica". I gesti istintivi, fatti "senza pensare", sono quelli che compie un cuoco quando taglia velocemente le verdure, quelli che compie un disegnatore che in pochi attimi dà vita ad una caricatura su un foglio, quelli che chiunque di noi compie guidando davanti ad un ostacolo. Senza pensare premiamo il pedale del freno e quello della frizione contemporaneamente.

La "mente arcaica" è preposta a raccogliere e archiviare gli schemi motori, visivi, uditi, e così via. E quando agisce è estremamente efficiente. Il problema, come scrivevo, è che non possiamo ricorrere ad essa in modo consapevole.

Cosa possiamo fare per sfruttare le capacità della "mente arcaica"? Possiamo grazie alla "mente consapevole" registrare nuovi schemi motori e soprattutto far emergere uno stato mentale capace di permettere alla "mente arcaica" di agire.

Per rendere uno schema motorio istintivo, farlo acquisire dalla "mente arcaica", dobbiamo ripetere innumerevoli volte quel gesto con la massima attenzione, con la massima concentrazione possibile, e questo può avvenire solo se focalizziamo la nostra "mente consapevole" verso quello che stiamo facendo. In altre parole, se vogliamo imparare a fare qualcosa dobbiamo avere la nostra mente libera da qualsiasi altro pensiero. Ed ecco che arriviamo proprio al nodo focale di questo articolo.

Questo stato mentale a cui faccio riferimento è ben noto ai praticanti di arti marziali "esperti". Che lo hanno colto secoli prima delle neuroscienze.

Di questo stato mentale ne è un perfetto esempio una scena del film L’ultimo samurai, forse la pellicola più famosa del regista Edward Zwick. Un film che, nonostante sia pensato per il grande pubblico, è stato curato in ogni suo dettaglio, ed ha saputo raccontare in modo magistrale la figura del "samurai" e, soprattutto, la cultura giapponese del "travagliato" periodo Meiji (il periodo in cui regnò l'imperatore Meiji che va dal 23 ottobre 1868 al 30 luglio 1912), con un linguaggio semplice e chiaro.

L’ultimo samurai è un film dai molti significati, alcuni palesi ed alcuni meno palesi. Un film che va ben oltre la spettacolarità delle scene di combattimento e che per essere apprezzato nelle sue più piccole sfumature va "letto" con grande attenzione "fra le righe".

Una storia di successo non è il frutto del caso o della fortuna. Una storia capace di catturare l’attenzione del pubblico è sempre costruita su degli elementi precisi. Scrivere una storia di successo è sì un’arte, ma è anche una vera e propria scienza. Una storia di successo è, infatti, il frutto di un equilibrio perfetto di precisi ingredienti. Uno di questi ingredienti è un vero e proprio cardine per qualsiasi storia. Questo ingrediente è chiamato dagli esperti creatori di storie con il nome di "codice drammatico".

Il "codice drammatico" è il punto focale del racconto, è il momento del cambiamento, è quando il personaggio principale, si libera delle abitudini, delle debolezze, dei fantasmi del proprio passato, e si trasforma divenendo più ricco (non tanto nel senso materico, ma da un punto di vista interiore). Il "codice drammatico" esprime l’idea che gli esseri umani possono diventare una versione migliore di sé stessi, psicologicamente e moralmente.

Nel film L’ultimo samurai il "codice drammatico" si svela in un momento ben preciso della pellicola. Il protagonista, il capitano dell’esercito statunitense Nathan Algren (interpretato da Tom Cruise), si trova costretto ad essere "ospite" per diversi mesi in un villaggio rurale giapponese, il cui capo, Katsumoto (interpretato dall’attore Ken Watanabe) è il coprotagonista del film e l’ultimo samurai della storia.

Algren ha così modo di osservare la vita "tradizionale" giapponese e di innamorarsene sia da un punto di vista culturale che fisico (si innamora, infatti, di Taka, la sorella di Katsumoto, che lo ospita nella propria casa).

Ebbene il "codice drammatico" si svela quando Algren, dopo diversi tentativi piuttosto fallimentari di apprendere l’arte della katana, sperimenta lo stato definito dalla parola giapponese 無心 mushin (in cinese la parola è pronunciata wúxīn).

Questa parola non ha un corrispettivo in lingua italiana, ed è tradotta in differenti modi: "senza mente", "mente piena di vuoto", "mente non mente" o "mente no-mente".

La parola è la sintesi dell’espressione giapponese zen 無心の心 mushin no shin, che esprime il concetto di una mente libera dai pensieri, dalle emozioni, una mente calma e lucida.

La persona che sperimenta lo stato descritto dalla parola 無心 wúxīn ha la possibilità di vivere quello che i neuroscienziati chiamano "stato di flusso". Lo "stato di flusso" è uno stato di grande concentrazione, in cui la mente è calma e lucida. Lo "stato di flusso" è uno stato differente da quello che sperimentiamo normalmente quando la nostra mente è semplicemente calma.

Lo "stato di flusso" è uno stato caratterizzato dalla sensazione che lo scorrere del tempo si annulla.

Il protagonista del film, nel momento in cui sperimenta questo stato di quiete, di pace interiore, è in grado di eseguire alla perfezione alcune tecniche con la katana, alla pari del samurai che gli sta insegnando l’arte della spada (che in realtà dovremmo chiamare sciabola, visto che la famosa "spada" dei samurai è monofilare, cioè ha un solo lato tagliente).

L’idea espressa dalla parola giapponese 無心 mushin trova un suo corrispettivo nella cultura cinese? In particolare, nella cultura marziale cinese? La risposta è sia un sì che allo stesso tempo un no.

È importante precisare, infatti, che tutto ciò che rappresenta la figura del samurai nella cultura giapponese, non trova un corrispettivo nella cultura cinese.

Il principio, invece, espresso dalla parola 無心 mushin lo trova. Prima ancora che al mondo delle arti marziali, infatti, questo principio appartiene alla filosofia zen, che ovviamente è presente anche nella cultura cinese, che non manca certo di una radicata e profonda tradizione meditativa. Un componente della cultura cinese che permea anche lo studio e la pratica del 太极拳 tàijí quán e del 气功 qìgōng.

La prima parola da introdurre nello studio di questo particolare stato della mente è la parola 入定 rùdìng, che descrive il momento della "transizione" della mente da uno stato normale di calma allo "stato di flusso". è traducibile con le parole "entrare nella meditazione". La seconda parola è 入静 rùjìng, che invece descrive proprio la condizione dello "stato di flusso", ed è traducibile con l’espressione "entrare nell'immobilità".

Essere capaci di "entrare nell’immobilità" è un prerequisito fondamentale per poter "entrare in uno stato in cui la mente è calma, lucida e focalizzata".

La parola 入静 rùjìng esprime la capacità della mente di "non essere aggrappata" al luogo fisico in cui si trova, e quindi questo lasciarsi andare, questo staccarsi dal luogo fisico in cui ci si trova porta ad uno stato di "immobilità" nella mente.

A questo punto è importante chiarire un aspetto . Uno stato di "immobilità" della mente non descrive uno stato di immobilità fisica. Come ben descritto nella sequenza che ho citato qualche riga prima del film L’ultimo samurai, il protagonista del film, Nathan Algren riesce ad intercettare i colpi del suo insegnante, a muoversi in modo preciso, ed efficace, quando sperimenta la "mente non mente". Quando lascia agire la "mente arcaica". In poche parole, è tutto fuorché immobile. È in grado di farlo perché la sua mente è talmente focalizzata su quello che sta facendo che nulla può distrarla, e permette alla "mente arcaica" di emergere e di agire.

Se si riesce a ricorre all’uso della “mente arcaica”, a sperimentare uno “stato di flusso”, quindi a raggiungere lo stato della “mente non mente” in modo consapevole, riusciamo ad accedere a delle risorse che il nostro cervello possiede e che spesso non utilizziamo. Delle risorse che possono apparire quasi dei “super poteri”.

Quando si riesce a mantenere a lungo lo "stato di flusso" si riesce a raggiungere lo stato di "non azione", di "immobilità".

Nella non-azione, la mente è in uno stato di profondo silenzio. Pensieri ed emozioni non la influenzano, sono presenti, ma non sono in grado di distrarla. Possiamo quindi agire "senza pensare", possiamo agire di "istinto", e quindi schiavare il pugno senza doverlo guardare "arrivare".

Molte persone vivono l’esperienza di "entrare nell’immobilità", in uno stato di non-azione. Può capitare quando si cucina, quando si disegna, quando si legge un libro. Ma il raggiungere lo "stato di flusso" in modo non consapevole non garantisce il mantenimento dello stato stesso nel tempo. Questo perché non si è allenati a mantenere la concentrazione su quello che si sta facendo.

Vivere uno stato di calma e lucidità, è differente dal vivere uno stato di calma e lucidità grazie ad una mente focalizzata, cioè concentrata, su qualcosa.

Se si è capaci di entrare in uno "stato di meditazione" (入定 rùdìng), si può riuscire con una certa facilità (grazie all’allenamento) ad "entrare nell’immobilità", nello "stato di flusso" (入静 rùjìng), e a far emergere la "mente non mente", il 無心 wúxīn. Gli sforzi che vanno compiuti per raggiungere questo stato della mente devono essere volti a migliorare la capacità di concentrazione, di focalizzare la nostra mente sul compito che stiamo compiendo.

Entrare nello "stato di flusso", è una questione di allenamento. Più si pratica e più sarà facile entrare nello "stato di flusso".

Ovviamente non è solo la concentrazione il fattore determinante, ma anche, ad esempio, la respirazione. Temi che però saranno approfonditi in altri articoli.

Pratica la tua conoscenza.
實履真知
shíjiàn zhēnzhī

Francesco Russo

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BREVE PROFILO DELL'AUTORE
Francesco Russo, consulente di marketing, è specializzato in consulenze in materia di "economia della distrazione".

Nato e cresciuto a Venezia oggi vive in Riviera del Brenta. Ha praticato per molti anni kick boxing raggiungendo il grado di "cintura blu". Dopo delle brevi esperienze nel mondo del karate e del gong fu, ha iniziato a praticare Taiji Quan (太極拳tàijí quán).

Dopo alcuni anni di studio dello stile Yang (楊式yáng shì) ha scelto di studiare lo stile Chen (陳式chén shì).

Oggi studia, pratica ed insegna il Taiji Quan stile Chen (陳式太極拳Chén shì tàijí quán), il Qi Gong (氣功Qì gōng) e il DaoYin (導引dǎoyǐn) nella propria scuola di arti marziali tradizionali cinesi Drago Azzurro.

Per comprendere meglio l'arte marziale del Taiji Quan (太極拳tàijí quán) si è dedicato allo studio della lingua cinese (mandarino tradizionale) e dell'arte della calligrafia.

Nel 2021 decide di dare vita ad una rivista dedicata al Taiji Quan (太極拳tàijí quán), al Qi Gong (氣功Qì gōng) e alle arti marziali cinesi in generale, che fosse totalmente indipendente da qualsiasi scuola di arti marziali, con lo scopo di dare vita ad uno strumento di divulgazione della cultura delle arti marziali cinesi.

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一口氣。一套太極拳。一個世界。
Yī kǒuqì. Yī tào tàijí quán. Yīgè shìjiè.

—— 龍小五

Un solo respiro. Una sola sequenza di Taiji. Un solo mondo.
—— 龍小五

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